Napoli magica: il racconto di una città che sfugge ad ogni definizione

La visione del film di Marco D’Amore, a caldo, mi aveva lasciata un po’ perplessa. Sono andata al cinema a vederlo spinta dalla curiosità, attirata più che altro dal titolo: ho una passione per Napoli viscerale, un desiderio di conoscerne i vari aspetti, i luoghi, le storie che la riguardano. E un film con un titolo così accattivante non poteva non attirare la mia attenzione.
Ripeto, la visione del fil mi ha lasciata perplessa, a tratti interdetta. Cercavo di trovare il cosiddetto “bandolo della matassa” ma tutto ciò che mi veniva in mente lì per lì non mio convinceva più di tanto.
I proverbi hanno sempre ragione: la notte porta consiglio ed io, stamattina, ripensandoci, avevo varie chiavi di lettura di Napoli magica.
Qualcuna che ho idealmente condiviso già in serata con il dibattito che si è aperto in sala alla presenza di Marco D’Amore. Ma c’era dell’altro. Non mi bastava quanto avevo ascoltato né dal regista né dagli altri spettatori.
Un film semplice, poco costoso, come ha dichiarato lo stesso D’Amore, ma che, per me, vive di vita propria perché nella sua semplicità apre un nuovo filone. Un neorealismo del III millennio, con ispirazioni e spunti che vanno indietro nel tempo rendendo questo film originalissimo pur raccontando una città arcinota per i suoi pregi e suoi difetti.
Protagonista assoluto, soprattutto nella prima parte, è il POPOLO che, a mio avviso, è la vera magia della città che l’attore – regista cerca spasmodicamente senza rendersi conto di averla intorno a sé. Il popolo napoletano rende unica e magica questa città dai mille colori (e ci sono tutti nella prima parte) e dalle tante ombre, il lato oscuro che ognuno di noi ha, e che ha anche Napoli, città femmina per eccellenza.
I 2 protagonisti della seconda parte, Totò e Peppino, che richiamano con leggerezza senza scimmiottare i 2 grandi maestri, offrono la personificazione del dualismo di cui vive il film. Sopra e sotto, colori e nero, sacro e profano, storia e mito, quartieri alti e bassi, risa e pianto. Opposti che convivono da sempre in questa città con un equilibrio inspiegabile ed inimitabile. In questo dualismo si inserisce Marco, un po’ Ulisse, un po’ Dante, un po’ giornalista, a tratti turista, con uno sguardo attento e non banale, che sì ci ricorda Pasolini per certi versi ma non lo imita. Il suo è uno sguardo attuale, calato nel tempo che vive, per raccontare Napoli con i suoi cliché senza i quali non sarebbe la stessa, e che non vanno condannati perché sono la sua stessa ricchezza. Il Vesuvio, la pizza, Pulcinella, la sfogliatella, i panni stesi, il caffè. Tutto questo è Napoli, che parla, anche senza parlare, attraverso i suoi simboli o la mimica delle persone (il cameo di Eduardo spiega più di ogni parola).
A tutto ciò fa da contraltare il mistero, quello che è nascosto, che non si vede, ma che c’è e condiziona la vita di un popolo che ama la vita ma non teme la morte perché sa, che nella sua cultura e tra la sua gente continuerà a vivere.

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